Intervista al Blogger: Danilo Masotti

pubblicato in: Giornalismo 0
Ironia e capacità di guardare al futuro con lungimiranza: sono queste le caratteristiche che rendono Danilo Masotti, inventore degli Umarells, uno dei blogger e influencer più seguiti in Italia. Scrittore, esperto di web e comunicazione, social media marketing e interattività, Masotti racconta in questa intervista la sua storia professionale e come è riuscito a fare della sua passione per la comunicazione un lavoro a tutti gli effetti. Con l’aiuto del web e del digital marketing. 

di Laura Corallo

 

 

 

Danilo Masotti, parlaci di te

Sono un signore di 50 anni che continua a giocare e si diverte ancora. I miei giochi: parole, tecnologia e musica.

 

Sei un professionista eclettico: blogger, esperto in comunicazione e social media marketing. Qual è stata la tua formazione?

Mi sono diplomato ragioniere programmatore verso la fine degli anni Ottanta e finito questo percorso di studi mi son trovato subito in ufficio a guardare l’orologio in attesa di uscire.  In contemporanea col fallimento dell’azienda presso la quale lavoravo, arriva Windows 95. I computer diventano più belli, arriva Internet e con esso la possibilità di lavorare e comunicare standosene comodamente a casa. Fantastico. E così  mi sono messo a studiare da autodidatta, sperimentare, fare, proporre… ed eccomi qui. Ne approfitto per ringraziare l’amico Davide Celli che in tempi non sospetti mi aprì gli occhi sulla computer grafica.

 

Prima di dedicarti al mondo della comunicazione hai lavorato come ragioniere in alcune aziende bolognesi. Cosa ti ha insegnato quel periodo e perché hai deciso di cambiare strada per lavorare nel mondo della comunicazione?

L’esperienza giovanile da ragioniere è stata terribile. Trovarsi a ventitre anni con un lavoro a tempo indeterminato non lo auguro a nessuno, la mia vita sembrava segnata. Potevo continuare così? No. Complice il fallimento dell’ultima azienda presso la quale lavoravo, ne ho approfittato per cambiare strada. Niente di eroico, ci mancherebbe. Solo un cambio di direzione, ma avendo ben chiaro cosa non avrei mai più voluto fare nella vita.

Nel 2003 hai aperto il primo di una lunga serie di blog diventando uno dei blogger più popolari di Bologna. Raccontaci questa esperienza.

Nel 2003 aprii un blog dove, nel più totale anonimato, raccontavo gli affari miei e avevo un certo seguito, poi lo chiusi e ne aprii un altro dove raccontavo gli affari miei, ma senza più usare l’anonimato e piaceva ancora di più, poi realizzai lo spettacolo teatrale FORMAT LIVE insieme a Stefano “Sbarbo” Cavedoni e Enrico Brizzi e da questo spettacolo aprii un altro blog dove narravo la città ed è stato ancor più un successo che è culminato col blog degli Umarells che mi ha consacrato “blogger professionista” e scrittore. Attualmente ho ancora un blog sul Fatto Quotidiano, ma non mi considero più un blogger, mi piace dire ex-blogger.

Cosa distingue un blogger da un blogger professionista come te? 

Quello che distingue un blogger professionista da un blogger qualsiasi è che quando ti intervistano radio, giornali e tv dicono che tu sia un “blogger” e che grazie al blog tu riesca a raccattare qualche compenso o addirittura, tu riesca a vendere un prodotto.

Ecco, quando si comincia a essere catalogati come “blogger” (e soprattutto ad essere pagati) è l’inizio del professionismo.

Da qualche anno stanno cominciando a catalogarmi addirittura come “influencer”. Aiuto.

 

Il primo libro “Umarells”, che ha decretato il tuo successo come scrittore, ha dato notorietà e rilievo ai pensionati bolognesi amanti dei lavori in corso nelle piazze della città. Cosa ti ha affascinato di queste figure e perché i tuoi lavori (compresa una rappresentazione teatrale) hanno conquistato il favore del pubblico? 

Mio padre era un umarell, lo è sempre stato e questo credo abbia influenzato totalmente il mio lavoro. Non gliene fregava niente dei cantieri, ma era un umarell, perché umarells lo si è o non lo si è, non è questione di età. Umarells è un omaggio a lui e a tutta quella generazione che ha costruito perché c’era solo che da costruire, non come noi che abbiamo già trovato la pappa pronta. Credo che questo gesto di amore nei confronti degli umarells si senta ed è per questo che il libro e tutte le altre iniziative hanno avuto molto successo.

 

Qualche mese fa hai chiuso la nota pagina Facebook e molto partecipato (17mila iscritti) “Una Bologna peggiore è possibile”. Perché hai deciso di chiudere la pagina e cosa non ha funzionato, a tuo parere, in questo progetto rispetto ai tuoi obiettivi iniziali? 

Il gruppo “Una Bologna peggiore è possibile” era nato con intenti ironici e canzonatori nei confronti del bolognese medio che si lamenta di continuo. Ogni post del gruppo aveva come incipit “Mi lamento che a Bologna….” e tutto questo lamentarsi, nella mia testa, avrebbe dovuto spingere il bolognese ad agire. Mi sbagliavo. Nel giro di poco tempo, l’ironia è andata a farsi friggere e il gruppo ha cominciato a popolarsi di facinorosi che buttavano sempre tutto in politica con discorsi da bar, trasformando il tutto in un vomitatoio. Inevitabile chiuderlo. Non era più divertente e non portava beneficio a nessuno. 

Considerando che sei bolognese doc, come valuti il panorama dell’informazione locale e regionale anche in rapporto alle strategie di marketing e ai social network?

Vivendo in una città che adora parlare solo di se stessa, i social network sono il top per una metropoli di provincia come Bologna e per una regione che si gongola di trionfi come l’Emilia-Romagna. Una manna caduta dal cielo. 

Tre progetti di comunicazione che hai realizzato nel corso della tua carriera e a cui sei molto legato

Lo spettro della bolognesità è stato sicuramente un ottimo progetto di blog cittadino partecipativo e a suo modo anche il gruppo “Una Bologna peggiore è possibile”, se non fosse andata a finire così. La collaborazione con Burger King Italia per promuovere il video KING OF UMARELLS è stato sicuramente importante come lo sarà l’inaugurazione di PIAZZETTA DEGLI UMARELLS che dovrebbe avvenire ad aprile. Quest’ultimo progetto sicuramente è il più grande riconoscimento a tutto il mio lavoro di raccontare la città.

Tra i numerosi libri da te scritti, due sono dedicati alla città di Bologna in cui narri storie e fatti curiosi, a volte anche poco noti ai suoi stessi abitanti. Questa narrazione è stata per te una scoperta innovativa? Che cosa significa per te raccontare Bologna?

La scoperta del raccontare la città è nata abbinando lo spettacolo teatrale FORMAT LIVE con il blog e trasformare gli appunti presi dal blog in libri. Questo metodo (ora diffusissimo) fu innovativo, ora non lo è più visto che ormai tutti quelli che hanno un blog, da questo ricavano un libro che pochi leggeranno. Raccontare Bologna è sempre bello, soprattutto perché qui in città gli abitanti adorano parlare di Bologna e quindi è abbastanza facile trovare orecchie che ascoltino i suoi racconti e occhi che li leggano. La difficoltà maggiore è riuscire a dire cose nuove e interessanti, trovare nuove manie dei bolognesi, catalogarli e ridere di noi. Quando arrivano i momenti che non si sa cosa dire, basta parlare del TIRO, di ALTRO? ALTRO o della pizza di Altero e una pagina che qualcuno leggerà divertendosi, la si riuscirà sempre a scrivere. 

Sapresti consigliare cinque cose da fare a Bologna assolutamente?

Fare un giro in autobus (non importa quale), sedersi per terra in Piazza Verdi (o Piazza Santo Stefano), andare a piedi fino a San Luca, percorrere la strada che conduce a Lippo di Calderara di Reno per vedere gli aerei che decollano, entrare in qualsiasi negozio e mangiare.

Sei conosciuto come il fondatore e il cantante dei New Hyronja. Quando è nata la tua passione per la musica che ti ha portato a diventare anche conduttore di Radio Città 103? Cosa hai imparato da questa esperienza?


Da piccolo ascoltavo le radio libere e mi innamorai degli Skiantos dove il maestro Roberto Freak Antoni esortava a buttarsi nelle esperienze con il seguente approccio “Non sai suonare? Meglio. Trova degli amici e formate una band”. Questa cosa mi ha dato coraggio ed è stato fondamentale per buttarsi in qualsiasi esperienza. Ho fatto così con la musica e ho imparato a cantare, ho fatto così con la radio e ho imparato a condurre, ho fatto così con la scrittura e sono diventato uno scrittore.

 

Scrivi per una testata giornalistica importante Il Fatto Quotidiano, sul quale gestisci un blog. Ci racconti qualcosa di più su questo progetto?

Attratto dalla mia fama di blogger, scrittore, agitatore culturale, Emiliano Liuzzi mi contattò per scrivere nel blog del Fatto Quotidiano Emilia-Romagna per parlare a mio modo di Bologna e dei bolognesi. Gli chiesi dei soldi. Mi disse che non mi avrebbero pagato, ma che mi avrebbe dato visibilità. Gli dissi che di visibilità ne avevo pure troppa e non lo mandai a cagare come faccio di solito quando mi chiedono di lavorare gratis, ma siccome mi era simpatico patteggiammo l’abbonamento eterno gratis al quotidiano in versione PDF e miei interventi sul blog random, senza alcun impegno. Era il 2011, ogni tanto scrivo ancora sul blog, Emiliano purtroppo non c’è più e neppure l’edizione Emilia-Romagna del Fatto. 

 

Qual è il ruolo del comunicatore al giorno d’oggi e cosa consiglieresti ad un giovane che vuole avviare una attività nel mondo della Comunicazione?

In un mondo dove tutti comunicano, il ruolo del comunicatore è difficilissimo da ricoprire, perché trovare orecchie che ascoltino con interesse e occhi che leggano con entusiasmo è sempre più difficile. A un giovane che volesse avviare un’attività di comunicazione gli consiglierei di parlare solo ed esclusivamente di quello che conosce, di quello che vive sulla propria pelle. Solo in questo modo forse verrà ascoltato. Per incentivarlo (o scoraggiarlo) gli regalerei una T-Shirt con scritto “Meno comunicazione, più silenzio”


Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *