Marina Leonardi: cronache di un giornalista culturale

pubblicato in: Giornalismo 1

Giornalista professionista e direttrice del mensile Mesemodena, una delle firme più autentiche della scena culturale locale, (per chi non la conoscesse è stata per anni la referente del settore cultura dell’Unità di Modena), Marina Leonardi si racconta con noi, spaziando dai suoi interessi e le sue passioni, a cosa significa essere una giornalista freelance oggi. 

 

Marina Leonardi, come e quando hai iniziato la tua carriera da giornalista?

Sono arrivata al giornalismo più o meno per caso. Dopo il liceo ho frequentato il Dams Arte e successivamente una scuola biennale di design a Milano. Facevo la pendolare, in treno quattro giorni alla settimana. In quelle lunghe ore cominciai a scrivere racconti. Sentivo che scrivere mi piaceva e che lo sforzo espressivo mi arricchiva. Con un racconto (Distributore di sogni) partecipai a un premio letterario nazionale: vinse Roberto Barbolini, seguito da Carmen Covito, io arrivai quinta e prima nella sezione under 30. La “piccola fama” del premio letterario fu seguita da qualche intervista su quotidiani locali e da un paio di proposte di collaborazione. Scelsi l’Unità. La mia carriera di giornalista è cominciata così, nel 1988, con un articolo nella pagina regionale dell’Unità Emilia Romagna, sulle leggi razziali del ’38 e il conseguente suicidio dell’intellettuale modenese Angelo Fortunato Formiggini.

 

Prima nella redazione modenese dell’Unità e poi al magazine Mese Modena ti sei occupata delle pagine culturali. Cosa significa fare giornalismo nel settore cultura? Quali sono le doti e le caratteristiche che dovrebbe avere un giornalista culturale?

La prima volta che misi piede nella redazione de l’Unità, il caporedattore mi chiese di quale ambito mi sarei voluta occupare. Gli risposi senza indugio: cultura! Lui sorrise, spiegandomi che il 90% dei giovani collaboratori che arrivavano in redazione voleva scrivere di cultura. Che avrei potuto scriverne sì, ma che avrei dovuto occuparmi soprattutto di cronaca bianca. E così fu, ma poi, negli anni, diventai la referente della pagina culturale dell’Unità di Modena.

Erano altri tempi: si scriveva ancora a macchina e i servizi si dettavano al telefono. L’informatizzazione arrivò pian piano, internet era ancora un sogno fantascientifico. Per scrivere di arte, musica, spettacoli, cinema cercavo ispirazione e nozioni sulle “Garzantine”. Ce n’era una per materia. A pensarci adesso sembra fosse l’età della pietra! E invece erano i primi anni ’90.

Tornando alla domanda. Fare giornalismo nel settore cultura significa mediare fra informazione e critica: un ruolo intermedio e delicato fra l’informazione sugli eventi e un suggerimento critico non invasivo ma capace di stimolare e aiutare il giudizio del lettore. Quali sono le qualità che deve avere un giornalista culturale? Prima di tutto credere, vorrei dire con rigore sacerdotale, all’importanza della cultura. Il resto viene da sé. Una preparazione di base nei diversi settori di cui ci si occupa, tanto più approfondita e aggiornata quanto più ci si vuole avvicinare a un’analisi critica dell’evento. In sostanza è necessario sapere ciò di cui si scrive. Mi è capitato di leggere articoli assurdi dove il pittore Ligabue veniva scambiato per il rocker di Correggio o dove veniva definito soprano, un cantante uomo!

Per quanto mi riguarda, posso definirmi una giornalista culturale con una specializzazione critica nel teatro, per un’esperienza fatta a livello professionistico e nell’arte e nel cinema, per gli studi al Dams. All’Unità infatti svolsi anche il ruolo di critica d’arte.

 

Nel 2003 sei diventata responsabile della rivista di eventi culturali Mese Modena. Come è iniziata questa esperienza e cosa ha rappresentato per la città di Modena?

La mia carriera all’Unità si concluse alla fine del 1999 con la chiusura delle redazioni locali. Per me fu un duro colpo. Toccai con mano l’esperienza degli ammortizzatori sociali: cassa integrazione e disoccupazione. Ero ancora in disoccupazione quando partecipai a una selezione per responsabile di una nuova rivista culturale in apertura a Modena, il Mese Modena Magazine. Fortunatamente l’esperienza maturata all’Unità giocò a mio favore e venni scelta.

Così ebbe inizio la bella avventura del Mese, ricco magazine sostenuto da chi produceva cultura a Modena e in provincia e quindi Comune, Provincia, FCRMO, Ert, Comunale, e diversi comuni della provincia. Fortemente voluto dall’allora assessore alla Cultura Gianni Cottafavi, il Mese con le sue 48 pagine mensili si proponeva e si propone ancora, anche se in formato diverso, come contenitore, sistematizzatore e promotore della ricchissima offerta culturale modenese.

L’uscita della rivista venne salutata molto calorosamente dal pubblico che la poteva trovare in edicola, poteva riceverla per posta a casa o poteva trovarla in numerosi luoghi della città, come le biblioteche, i teatri, gli uffici di informazione turistica. Il Mese veniva distribuito anche negli alberghi e offerto ai turisti che volevano trascorrere qualche giorno a Modena e magari andare a teatro, visitare una mostra, un museo o ascoltare qualche concerto.

 

Credo che per la città di Modena sia stato e sia uno strumento molto utile e sicuramente sottovalutato dalle amministrazioni successive che hanno via via diminuito il loro sostegno, costringendo la redazione a tagli crescenti del personale e dell’impaginazione, fino alla scelta di andare on line, per non dover chiudere l’esperienza quasi quindicinale.

 

 

Da quasi un anno la rivista è passata dal cartaceo al digitale. Come è cambiato il modo di fare giornalismo in un mondo in cui assume sempre più importanza il ruolo dell’informazione non mediata, quali blog e siti internet? In base alla tua esperienza, per chi vuole intraprendere la professione di giornalista, il web è una opportunità?

Il passaggio al digitale, come raccontavo sopra per noi è stato forzato. Ma non appena è nato il sito mesemodena.it mi sono resa conto delle grandi potenzialità che offre l’online. Prima di tutto, l’aggiornamento in tempo reale dell’informazione. Se era stato traumatico per me passare da un quotidiano (L’Unità) a un mensile, ora lo è stato ancora di più passare da un mensile al web. La mole di lavoro è decuplicata. Noi abbiamo 36 notizie in home page, più una serie di primi piani che devono essere aggiornati quotidianamente. E questo mantenendo comunque una copertura temporale ultra-settimanale per coerenza col nome (il Mese) e con quello che siamo sempre stati: un mensile.

Lavorare e gestire un sito online ti obbliga poi a passare dai social per la promozione delle notizie, nel nostro caso la pagina FB del Mese Modena. Quindi con una ulteriore mole di lavoro.

 

Ovviamente il web ha cambiato notevolmente il modo di fare giornalismo. Molta dell’informazione come dicevo passa dai social. Spessissimo mi capita di vedere girare in rete delle notizie che vengono poi raccolte da quotidiani e tg. Un tempo erano le agenzie di stampa a dettare i contenuti dei giornali ora sono i vari tweet dei politici e le notizie veicolate da Fb. E qui si apre il grande tema delle fake news e della verifica delle informazioni che sono il vero rischio del digitale. Mentre il grande pregio è legato alla maggior libertà dell’informazione, al maggior confronto e all’aggiornamento in tempo reale.

Di certo il web è una opportunità di lavoro per i giovani giornalisti, ma anche per i più anzianotti, come me che in questi anni di crisi si sono dovuti “reinventare”.

 

Tornando alla tua specializzazione, si parla con sempre maggiore insistenza della crisi del giornalismo culturale, considerato ormai quasi ininfluente. Quali sono i confini di questa crisi e quali opportunità, invece, riserva in vista di una trasformazione del settore?

In un periodo di grande crisi, la cultura è quella che per prima ne fa le spese. Ed è assurdo perché solo la cultura fornisce alle persone gli strumenti per fare scelte libere e consapevoli. Comunque il web è di sicuro un’ancora di salvezza per l’editoria culturale, perché mai come ora si registra un fiorire di riviste culturali online, anche di grande qualità come Doppio Zero e Gli Asini giusto per fare due nomi eccellenti, ma ancora ci sono tanti blog culturali, di informazione e critica cinematografica, musicale, teatrale, letteraria (Mangialibri).

Il web è il trionfo della democrazia, consente di essere “sulla scena” con poca spesa.

 

Tre servizi giornalistici che hai realizzato nel corso della tua carriera e a cui sei molto legata.

Di certo sono legata al primo servizio, quello scritto nel 1988 per l’Unità, di cui parlavo sopra, sulla promulgazione delle leggi razziali del 1938 e il conseguente suicidio di Angelo Fortunato Formiggini, intellettuale ebreo modenese, che si lanciò dalla torre Ghirlandina. Per me, giornalista alle prime armi avere a disposizione una intera pagina sull’inserto regionale fu un riconoscimento incredibile.

Poi, ancora, sono molto legata a un altro bel servizio realizzato nel 1997, dedicato a Capitan Pastene un paesino nel Sud del Cile abitato da discendenti di emigrati modenesi e bolognesi dove capitai quasi per caso durante una vacanza. Ora i rapporti con quelle comunità sono stati ripresi e sono stati istituzionalizzati ma all’epoca non era così e io ero solo una giornalista modenese in una realtà rurale, pervicacemente legata alle proprie origini emiliane, dove alla sola parola “modenese” mi sono state aperte le porte delle piccole case di legno e cucinato… nientemeno che tortellini!

Il terzo infine è una intervista fiume, scritta più con piglio narrativo che giornalistico dopo un incontro con il bravo scrittore Antonio Tabucchi.

 

Tre personalità che hai intervistato e che ti sono rimaste nel cuore.

Di interviste ne ho realizzate tantissime e con personaggi molto interessanti. Il “materiale” non mi è mancato. Basti pensare agli artisti che anno dopo anno hanno affollato il palco del Pavarotti & Friends, da Bono a Liza Minelli e Sting o i grandi concerti che hanno portato a Modena artisti come Peter Gabriel, Eric Clapton, i Cure o i grandi registi e attori passati da Ert e gli artisti alla Galleria Civica come YaYoi Kusama o gli artisti della Pop Art inglese, tutti a Modena per la grande mostra a loro dedicata.

Nonostante tutti questi incontri formidabili, al primo posto metto la prima intervista realizzata (che è un po’come il primo amore si sa) con lo scrittore Andrea De Carlo, di cui avevo letto diversi libri e a cui seguì una bella corrispondenza epistolare privata (allora niente mail ma buste e francobolli!).

L’intervista che mi ha procurato più batticuore però è stata quella di cui parlavo sopra, con lo scrittore Antonio Tabucchi, a Modena per presentare un libro con immagini realizzato dal pittore Davide Benati. La situazione era rilassata, eravamo solo io e un collega e con Tabucchi potemmo spaziare su tantissimi fronti. Fu un’occasione bellissima.

Lo stesso vale per le altre due interviste che mi sono rimaste nel cuore, realizzate con calma, a pranzo, tra tante chiacchiere e pochi colleghi: la prima con lo scrittore algerino Tahar Ben Jalloun, di cui era appena uscito il volume Il razzismo spiegato a mia figlia e la seconda con il mitico regista e drammaturgo americano Bob Wilson di passaggio a Modena.

 

Quali sono le doti e le caratteristiche che dovrebbe avere giornalista?

E’ un cocktail complesso. Gli ingredienti li abbiamo già detti, le dosi possono variare

 

Quale pensi sia un tuo pregio professionale?

Bè la curiosità senza dubbio, poi il fiuto per la notizia. Il tutto associato a grande passione ed empatia.

 

Molti giornalisti scrivono libri di successo. Anche tu hai scritto diverse pubblicazioni tra guide d’arte e di viaggio e racconti.

Io ho scritto diverse pubblicazioni, non di certo di successo, ma per me molto gratificanti. Ho pubblicato diversi racconti, ho realizzato i testi per due guide di viaggio di Idea Libri, una guida che raccoglie le citazioni storiche sull’Emilia Romagna per l’Apt regionale e realizzato alcuni inserti di Gente Viaggi sugli appuntamenti culturali europei. Ho scritto in collaborazione, un libro sulla ristorazione italiana negli Usa, L’uovo di Colombo, che mi ha fornito molti strumenti per un’altra specializzazione che mi sono costruita negli anni, quella sull’enogastronomia (per Radio Emilia Romagna ho condotto per una decina d’anni una rubrica di enogastronomia oltre che rubriche di arte e spettacoli). E infine, il volume che mi ha dato più soddisfazioni, il saggio Ieri l’Italia di domani pubblicato per Rusconi, che negli anni è stato assunto come strumento di studio in alcuni atenei anche stranieri

 

Quali emozioni hai provato quando hai pubblicato il tuo primo libro? Cosa rappresenta per te la scrittura?

La scrittura per me è tutto. Scrivo costantemente, al computer, a penna o nella mia testa. E’ la mia dimensione ideale. Ogni volta che ho avuto nelle mani un volume da me scritto o a cui avevo collaborato, lo guardavo incredula: “Ma come? Sono stata proprio io a dargli vita?! “

 

Un consiglio a un giovane che vorrebbe fare il tuo lavoro.

Lo ripeto, un giovane giornalista che volesse specializzarsi in ambito culturale deve studiare, leggere tantissimo, ascoltare Radio Tre, grande scuola di cultura e cercare di andare a teatro e al cinema ogni volta che può. E poi scrivere, scrivere, scrivere agli amici e ai/alle fidanzate/i. La corrispondenza è una grande scuola di scrittura.

 

A cura di Laura Corallo

 

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  1. gian franco
    | Rispondi

    Ricordo il suo racconto Premiata da Guglielmo Zucconi, legati alla Storica Libreria Vincenzi (portici del collegio)

    gfb

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